Lettera per Paolo Sorrentino

Lettera aperta di Valeria De Luca a Paolo Sorrentino
“La grande bellezza”

mercoledì 19 giugno 2013,

Ho conosciuto uno scrittore. Jep Gambardella. In modo insolito, nella sala buia di un cinema, io sulla poltrona, lui sullo schermo. Ci siamo piaciuti dall’inizio. Sin da quando lui ha confessato che, da ragazzo, alla domanda ‘qual’è la cosa che ti piace di più’, non rispondeva come i suoi amici ‘la fessa’, ma ‘l’odore delle case dei vecchi’. Eppure ho sempre odiato quell’odore. Ma lo conoscevo bene, quanto lui. L’avevo respirato la prima volta per caso da bambina, mi aveva svelato un mondo che avevo sentito immobile, quanto il meriggio delle domeniche di provincia. Pieno di rimpianti chiusi negli armadi di noce. Un mondo stretto dalle manette di non-amori familiari, ingiusti eppure fotografati, immortalati in bianco e nero. A questo odore mi ero ribellata con la mia forza di bimba, antica, mitica. Cercavo anch’io la grande bellezza. …Così, sin dalla prima confessione di Jep, gli ho prestato il cuore, per istinto, per segreta alleanza. Come l’avevo prestato, anni e anni prima, al Principe Fabrizio del Gattopardo. Sono intese che nascono al di là dell’età, sull’onda della bellezza, o della malinconia assolata del sud. Ed è successo questo. Che lui mi ha portata nel cuore di quegli armadi. Attraverso una danza maestosa, accanto al Tevere al tramonto, nel sogno di palazzi principeschi, col trionfo della fantasia e dell’ironia, lui mi ha portata là dove l’anima di ognuno pare sbattere ogni volta. Armadi. Piccole, minuscole case. Che possono nascondere diari, per esempio. Dove sono descritti amori che finiscono non si sa come e perché, finiscono insieme al coraggio, e che rubano la vita. La scippano e poi la vita resta ma fluisce sopra, una corrente lieve su profondità sepolte. Tra vizi e trucchi di società, nelle maglie del potere, senza sale, senza l’acqua del mare. Senza un faro che sorveglia l’orizzonte. Avrei voluto bucare lo schermo e stringere sotto braccio Jep. E non dirgli niente. Niente che lui non sapesse già. Ma portarlo via. Via da Roma. Via dal Tevere. Portarlo di nuovo al mare. Basterebbe arrivarci, al mare. Il resto non serve. Per sciogliere il corpo dentro questa massa acquosa straordinaria, sentire gli occhi che pizzicano, le labbra che si fanno saporite. E nel languore salato che si avverte nello stomaco, tornano gli amori. Che non sono morti, sono solo adagiati sul fondo come relitti. Si può azzardare di scendere in apnea, a ripescare la vita che un tempo c’è stata. Ho pensato a questo, mentre i titoli di coda scorrevano nell’incanto di altre immagini mozzafiato. Ho fantasticato su me e su Jep al mare, lontano dai palazzi, lontano dall’ambizione di dominare la vita. E ho sentito che il mio amico ed io potevamo essere felici. Potevamo. Arrendendoci coraggiosamente al mare. Quindi… devo chiedere al regista il numero di telefono di Jep. Sì. Non può rifiutare di darmelo. Dobbiamo andare al mare. Io e lui.

Autore: Valeria De Luca

Lettera per Paolo Sorrentino. Lettera 3.

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