Lettera per Giuseppe Tornatore

Lettera aperta di Enrico Caldini a Giuseppe Tornatore
“Tito, il contadino di Guccio Gucci”

martedì 4 dicembre 2018,

Buongiorno Giuseppe Tornatore,

mi chiamo Enrico Caldini, ho 54 anni, vivo a San Giovanni Valdarno (AR) e sono insegnante di laboratorio di meccanica.
Vorrei inviarle questo mio romanzo, rratto da una storia vera, scritto col cuore, pubblicato da Pagnini Editore di Firenze.


Presentazione

A cura di Lorenzo Becattini

Quando Tito parte giovanissimo per la “Grande Guerra” porta con sé un dono della madre: un santino con l’immagine di sant’Antonio. Sarà il suo portafortuna. Ogni volta che la vita è in pericolo nelle trincee o quando deve affrontare i cruenti assalti alla baionetta lo estrae dalla tasca, lo bacia, assapora il profumo familiare e si lancia con coraggio nelle sfide terribili.
Si salverà la vita.
E’ bello pensare che a decidere la sua sorte sia stato, oltre all’amuleto, qualcosa di più profondo, come il destino o una volontà divina. Tito Caldini infatti era una persona buona, dedita alla famiglia, profondamente religioso, un vero amante della vita più che di sè stesso.
Una di quelle figure definibili “giusti” perché portatori di concordia fra gli uomini.
Enrico Caldini, nipote di Tito, in questo lavoro recupera e riannoda tanti ricordi ben conservati, ricevuti dal nonno e dagli altri componenti di una grande famiglia le cui vicissitudini si sviluppano dall’inizio del novecento fino ai primi anni settanta del secolo scorso.
L’autore ricostruisce alcuni momenti tragici della prima guerra mondiale; con pochi tocchi evidenzia le paure, il senso di smarrimento di quei giovani mandati a morire, i dialetti che si incrociano, la fame, ma anche piccoli gesti di solidarietà e amore. Pure di eroismo, come quello che vedrà protagonista Tito sul Col Fagheron nel giugno del 1918 e che gli varrà la massima onorificenza per un soldato semplice: la medaglia d’argento al valor militare.
Il libro mette in scena, fin dal titolo, anche un personaggio straordinario come Guccio Gucci, capostipite della grande casa di moda nata a Firenze. L’incontro e soprattutto l’intesa fra un contadino povero della campagna toscana e un signore elegante e pieno di fascino come Gucci ha un che di magico.
Mostra che niente è impossibile e che si può creare un’amicizia duratura, sincera e rispettosa fra persone provenienti da mondi totalmente diversi. Guccio Gucci ha stima, rispetto e protegge con garbo il suo contadino nella casa di campagna nel comune di Reggello; Tito lo ricambia con una gratitudine che tutta la sua famiglia riserverà ai Gucci nel corso del tempo.
Il nostro Paese ci ha regalato imprenditori non solo bravi, ma anche dotati di tanta umanità, rispettosi dei più umili e del lavoro. Sarebbe questa la prima cosa da insegnare oggi nella miriade di corsi per dirigere le aziende. Una grande lezione di etica.
Guccio Gucci non si farà mai chiamare “padrone”, ma accetterà da Tito “Sor Gucci”.
La cosa più delicata del libro però è l’amore di Tito per il suo nipote Enrico che vede crescere accanto a sé.
Enrico lo ricambia con questo racconto denso di ricordi, incalzante, emozionante, che ti porta dentro la vita di persone autentiche e straordinarie.

Autore: Enrico Caldini

Lettera per Giuseppe Tornatore. Lettera 277.

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