Lettera per Alain Delon

Lettera aperta di Massimo Marchitto a Alain Delon
“Alain Delon”

mercoledì 22 maggio 2019,

Buongiorno Alain Delon,

Alain Delon

Classe 1935, pochi giorni fa, a Cannes, gli è stata assegnata la Palma d’oro alla carriera.
Prestigioso emblema per un attore, lui che ha vissuto una fanciullezza modesta, inserito nel cinema sin da quindicenne, ha percorso tutte le tappe artistiche, lavorando coi grandi del cinema, da Luchino Visconti a Jean Gabin, mostrando talento e bellezza, uniti a spavalderia, a guasconate giovanili, a proprietà acquisite dal saper copiare, ed è un pregio, all’apprendere, è anche un dono, al sapersi porgere, in ogni parte che gli venisse assegnata.
Ed ora, dal parterre, del Palais des Festivals, al palcoscenico, ritirando la Palma, non ha saputo frenare le lacrime, “è difficile durare e andarsene, ora può finire la mia vita” e “rimpiango Mireille e Romy, a loro dedico questo trofeo”, e giù applausi, standing ovation, e tutti, in piedi, dalla platea, ad urlare, semplice bonaria l’ipocrisia, un coro di “no, no, no”!

Di fronte alla Senna, coll’adiacente Pont de l’Alma, dal suo prestigioso attico, dai finestroni squadrati e larghi, quanti bateaux-mouches visti passare, a ridosso dei suoi pensieri, chissà, anche lo schianto della Principessa Diana e Dodi al Fayed; una vita di vittorie, di successi, la sua, di fortune, di donne, giunto al borderline, piange il suo successo, la sua abilità istrionica, la sua voglia di vivere per il cinema e per i risvolti che l’opportunità e il destino gli hanno concesso, camminando in un eterno tapis rouge, srotolato ancora una volta, per una acclamazione globale, finale, …. naturale, ora immortalato alla Croisette, dopo aver mietuto ascese e conquiste e reciso rose di donne alle quali ha donato sicurezza e protezione, sorrisi, galanteria e amore.
Il cinema lo ha reso famoso anche in “Borsalino”, alle prese con un già attempato Gabin, classe antica, d’altri tempi.

Chi ha lavorato poi con Burt Lancaster, (il ‘bel principone’, caduto nel talamo di una avvenente sgualdrina, poco aveva da offrirgli una moglie bigotta, una Rina Morelli, “tutta casa e chiesa”), Delon appunto, nella parte dello spavaldo nipote, pronto alle armi per la sua Sicilia, innamorato di Angelica, (la scena del pre ballo fantasmagorico, quando a lei, Claudia Cardinale, sussurra, baciandola animatamente, su di un letto baldacchinato, un “tranquilla, ti lascio vergine” e, dopo il nettare di effusioni, nei saloni barocchi di una Sicilia che già non c’era più), dall’ultimo dei “gattopardi”, carpisce eleganza e altezzosità, mistero, ardore, nobiltà.

“La vita mi ha dato tutto”, avrà pensato Delon, ma sta per riprendersela, per un do ut des naturale, che nessuno vuol riconoscere, ammettere e, per ciò, la commozione non frenata, davanti ad un pubblico osannante.

E ancora lui, nei panni del giovane Tancredi, dire allo zio, il Principe di Salina, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Burt, invece, “noi fummo i gattopardi ….., e continueremo a crederci il sale della terra”.
Malinconia e illusione di un “fu”, contro la voglia di un cambiamento stabilizzato dall’inerzia atavica di un popolo, per mantenere lo status quo.
Un Delon, quindi, forte della sua giovane virilità; conscio, invece, il Principe, di una fine inevitabile, inesorabile.
Che ora si mostra in tutta la sua ineluttabilità.
L’alfa e l’omega di una lingua morta.
MM
Roma 20 maggio 2019

Autore: Massimo Marchitto

Lettera per Alain Delon. Lettera 13.

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